Meryl Streep interpreta Florence Foster Jenkins

Florence, l’arte del cantare… male

La storia tragicomica della peggiore cantante del mondo

Il viso come una maschera in cui naso e zigomi sono il punto d’appoggio del suono, il diaframma che regola la respirazione sostenendo il flusso d’aria, la lingua che si muove sui binari dei denti modulando la nota. Sono tutte cose che ho imparato dalla mia insegnante di canto, una soprano formidabile con un sorriso contagioso. Ho anche imparato che nemmeno la più orecchiabile aria di Mozart è facile da cantare, perché il suono corretto non è semplice da produrre. I professionisti ci riescono, e, lasciati alle cure di chi ci sa fare, anche i vocalizzi della Regina della Notte sembrano un gioco da ragazzi.

Ma quanto può essere difficile cantare male… di proposito?

Difficile dirlo: tendiamo tutti quanti a fare l’opposto, preferendo una nota azzeccata a un acuto sghembo. Certo è che il lavoro di preparazione fatto da Meryl Streep per il film Florence ha dato risultati fenomenali.
Florence racconta un momento particolare della vita di un’outsider della storia della musica: il debutto di Florence Foster Jenkins, la peggior cantante del mondo, alla Carnegie Hall.

Ricca ereditiera, ex pianista, malata di sifilide e sincera amante della musica, la Jenkins era diventata nella New York degli anni ’40 una mecenate finanziando concerti, recital, spettacoli teatrali e circoli culturali. Era melomane a tal punto da cimentarsi lei stessa nell’arte del canto.
Florence Foster Jenkins era anche stonata come una campana.

Accettata la sfida di interpretarla sul grande schermo, Meryl Streep ha adottato un approccio di decostruzione della melodia, prima imparando le arie così come andrebbero cantate e poi “distruggendole” nello stile della Jenkins. Confrontando le registrazioni originali di Florence con gli stessi brani cantati da Meryl, si notano a mala pena le differenza.

meryl streep e hugh grant in florence

La vera Florence non si rendeva conto della sua inadeguatezza come cantante, non si accorgeva di stonare clamorosamente. Il suo pubblico rideva e si spanciava per le sue performance, eppure la registrazione della Jenkins è tra le più richieste all’archivio della Carnegie Hall, Cole Porter non si perse nessuno dei suoi recital (anche se poi si doveva conficcare il bastone nel piede nel tentativo di non scoppiare a ridere sonoramente) e la registrazione The Glory (????) of the Human Voice appare tra i 50 vinili preferiti di David Bowie. Florence cantava male, ma era seguita e amata. Doveva esserci qualcosa di più oltre alla facile (e sempre un po’ volgare) presa in giro della mancanza di talento.

È questo che il film di Stephen Frears racconta: forza di volontà e passione dirompente.
Il regista riesce a creare nella prima parte del film una deliziosa suspanse procrastinando la rivelazione della voce di Florence spiegata nel canto con un gioco simile a quello fatto da Spielberg in Jurassic Park per la famosa scena del brachiosauro. Poi, finalmente, la rivelazione, con le espressioni di sorpresa di Simon Helberg (qui nei panni del pianista Cosme McMoon, accompagnatore della Jenkins nelle lezioni di canto) che creano un effetto comico formidabile.

simon helberg in florence

Il film Florence fa ridere di gusto. Se la commedia è riuscita così bene è perché regista e sceneggiatore hanno scongiurato il pericolo della risata di scherno, che lascia sempre un po’ l’amaro in bocca. Molto meglio sorridere insieme a chi, stonatura dopo stonatura, comunque ci prova ad affrontare la vita con una musicale risata.

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