Il cane che guarda le stelle

Ho letto Il cane che guarda le stelle di Takashi Murakami, ma non so se consigliartelo o meno. No, non è brutto, anzi tutto il contrario: è di una bellezza talmente struggente che la presunta morte di E.T., con Elliot che piange e il fiore appassito, è l’equivalente emotivo del bere un bicchier d’acqua. Per questo sono indecisa: vorrei risparmiarti qualche lacrima, ma poi ti perderesti qualcosa di bello.

Una vecchia auto abbandonata in un campo viene ritrovata dopo più di un anno. All’interno dell’abitacolo la polizia scopre il cadavere di un uomo. Ai suoi piedi riposa lo scheletro di un cane.
Sono i protagonisti della nostra storia.
Niente spoiler, te l’assicuro! Questa è la scena con cui Murakami ha deciso di cominciare il racconto per poi fare un balzo a ritroso al punto di partenza. Incontriamo il cane Happy ancora cucciolo e assistiamo allo sfaldamento della famiglia che l’ha adottato attraverso il suo sguardo affettuoso e al contempo estraneo ai mutamenti dell’animo umano.
Il cane che guarda le stelle è il diario di un viaggio senza meta attraverso il Giappone alla scoperta di se stessi che non si esaurisce con la morte dei protagonisti, ma continua in una storia separata e parallela.
Un omaggio tenero e sentito, forte di un tratto narrativo equilibrato e di splendidi disegni, dedicato ai nostri amici a quattro zampe che, per citare Murakami, “ci amano in modo sincero, da farci quasi sentire in colpa”.

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